L’albero di Natale? Cristiano, non pagano

L’albero di Natale? Cristiano, non pagano
«Se oggi interroghiamo un cristiano o un non cristiano sull’origine dell’albero di Natale, nella stragrande maggioranza dei casi riceviamo la risposta che si tratta di un’antica usanza pagana. In effetti tale spiegazione non è del tutto errata. Tuttavia essa non rende giustizia alla situazione di fatto, poiché è vera solo in uno stadio iniziale, non per l’attuale abete decorato». Così Oscar Cullmann (teologo luterano che fu «osservatore» al Vaticano II) in un passo del librettino All’origine della festa del Natale. Logico partire da questa insospettabile fonte per una «riabilitazione» cattolica dell’abete natalizio in un’epoca nella quale – complice un certo uso «polemico» del presepe – forse non risulta inutile sottolineare con più obiettività i chiaroscuri natalizi.

L’abete «pagano» o «laico», magari «celtico»? Vero, però parziale. Precisa infatti Cullmann: «Solo la primissima forma cristiana è in rapporto con i riti pagani: da un lato col primordiale culto degli alberi, dall’altro con l’antica celebrazione del solstizio d’inverno». In effetti, l’albero è uno dei simboli più ricchi di significati nella storia e nella mitologia di tutti i popoli: immagine naturale di grandiosità e di mistero venerata come immagine o sede degli dei, simbolo della rigenerazione periodica della vita (la latifoglia) ovvero dell’immortalità (il sempreverde), comunque della vita; «asse del mondo» che attraverso le radici fissate al suolo collega la terra al cielo cui protende le chiome (e viceversa unisce il cielo alla terra)… Persino Joseph Ratzinger, in un testo del 1978, non se ne scandalizzava: «Quasi tutte le usanze prenatalizie hanno la loro radice in parole della Sacra Scrittura. Il popolo dei credenti ha, per così dire, tradotto la Scrittura in qualcosa di visibile… Gli alberi adorni del tempo di Natale non sono altro che il tentativo di tradurre in atto queste parole: il Signore è presente, così sapevano e credevano i nostri antenati; perciò gli alberi gli devono andare incontro, inchinarsi davanti a lui, diventare una lode per il loro Signore». Dunque nessun problema se l’albero «cattolico» trovasse parentele remote col «frassino cosmico» Yggdrasil della mitologia nordica, dalle cui foglie scende l’idromele (liquido di vita) e ai cui piedi si radunano gli dei per decidere le sorti degli uomini; ovvero con il Kien Mu, l’albero dell’Universo cinese, che ordina il mondo tra sopra e sotto, regno inferiore, umano e celeste; o ancora con Asvattha, l’albero rovesciato dell’India, le cui radici convogliano dalle nubi verso il basso l’energia sacra (dottrina peraltro ripresa in certe leggende ebraiche e islamiche) e in seguito identificato con il Ficus sotto il quale Buddha ricevette l’Illuminazione; per finire con le Americhe, dove si trovano il simbolo azteco di Quetzalcoatl – un cubo aperto su cui crescono 4 grandi alberi cosmici – e l’albero del Paradiso, proprio della mitologia Maya, personificazione del dio della pioggia Tlaloc («Colui che fa germogliare»). Del resto, dal fascino delle piante non sono certo immuni la Bibbia (a parte l’albero dell’Eden, si ricorda il salmo che canta «Il giusto fiorirà come la palma, si moltiplicherà come il cedro del Libano») né le sofisticate civiltà greca e romana. A Roma, per onorare Attis, era uso ornare con oggetti votivi – cembali, piatti, fiasche – l’abete sacro. In Grecia la medesima essenza era dedicata alla dea lunare Artemide e se ne sventolavano rami con una pigna in punta. L’abete, già: «albero della nascita» per l’antico Egitto, essenza consacrata al compleanno del Fanciullo Divino (il giorno dopo il solstizio d’inverno) nel calendario celtico… «Il legame fra l’albero e il solstizio – scriveva l’esperto Alfredo Cattabiani – è documentato anche nei Paesi scandinavi germanici, nei quali nel medioevo ci si recava nel bosco a tagliare un abete da decorare con ghirlande, uova dipinte, dolciumi».

Viene di qui il nostro albero di Natale? Forse, ma non solo: ancora Cullmann segnala altre coincidenze, come l’uso medievale di appendere ramoscelli in casa d’inverno, oppure la leggenda secondo cui le piante fiorirono alla nascita di Gesù… Tuttavia è lo stesso teologo a prendere le distanze: «II significato cristiano dell’albero di Natale non va fatto derivare dal solstizio d’inverno, che certo è anch’esso in questione, ma solo indirettamente. Esso ha un’origine propria e risale a una tradizione medievale e al suo significato religioso: le rappresentazioni dei “misteri”, che nella Santa Notte mettevano in scena davanti al portale delle chiese e delle cattedrali la storia del peccato originale nel paradiso terrestre. Esse sono la vera culla del nostro albero di Natale con la sua decorazione simbolica». In effetti, nel passato il 24 dicembre portava in calendario i «santi» Adamo ed Eva; era in seguito alla loro felix culpa che era stato inviato il Salvatore. Logico dunque, nei sagrati o anche nelle cattedrali, erigere un «albero del Paradiso» con tanto di mele appese a far da scenario alle sacre rappresentazioni natalizie. «Esso – ancora Cullmann – simboleggia un convincimento cristiano: il peccato dell’uomo viene espiato nella notte del 24 dicembre dall’ingresso di Cristo nel mondo». Una miniatura salisburghese, anno 1489, illustra il messaggio in modo chiarissimo: un albero, la cui chioma è folta di mele e ostie, ha appeso sulla sinistra un crocifisso e sulla destra un teschio; sotto il primo Maria coglie le ostie, presso il secondo Eva distribuisce le mele. Circa 5 secoli fa, dunque, era già presente il simbolismo oggi surrogato dalle palline natalizie  (inventate nel XIX secolo dai soffiatori di vetro dell’Alsazia e della Turingia) ed eventualmente dai biscotti. Ma è solo nel XVII secolo che l’abete – soprattutto in Germania – passa dalle piazze alle case e nel contempo s’arricchisce di altri ornamenti: rose di carta (il fiore dal «virgulto di Jesse»), lamine metalliche, dolci; un albero del genere è documentato nel 1605 a Strasburgo. Di lì a poco fu la luce: dapprima grazie a candeline (la prima notizia documentata in materia è del 1662 ad Hannover), poi con lumi elettrici; e siamo sempre a metà tra gli antichi culti del fuoco praticati nella buia stagione del solstizio e il significato teologico di Cristo luce del mondo.

In Italia l’albero di Natale giunge nell’Ottocento, come dimostra un’immaginetta in cui si vede dietro al Bambino Gesù un abete decorato con candele: soggetto peraltro certamente più raro di quello che raffigura lo stesso Neonato di Betlemme unito alla (o addirittura addormentato sulla) croce, a indicare una trasparente premonizione. Del resto, non sarà ancora un «albero» a diventare il simbolo della Passione? In questo senso, il recupero cristiano dell’abete natalizio compie intero il suo ciclo: infatti, secondo quanto volevano significare pure alcune leggende medievali per le quali la croce era fatta col legno del peccato originale e fu infissa nel cranio di Adamo sepolto sul Calvario, il Natale si unirebbe ancor di più alla Pasqua proprio grazie a una pianta. L’albero di Natale e il crocifisso potrebbero non essere poi così lontani. L’immagine dell’albero come simbolo del rinnovarsi della vita è un popolare tema pagano, presente sia nel mondo antico che medioevale. La derivazione dell’uso moderno della tradizione dell’albero di Natale, tuttavia, non è stata provata con chiarezza. Sicuramente questa usanza risale alla Germania del XVI secolo. Ma esiste una leggenda che risale a molti secoli prima.

Una storia, infatti, lega l’albero di Natale a San Bonifacio, il santo nato in Inghilterra intorno al 680 e che evangelizzò le popolazioni germaniche. Si narra che Bonifacio affrontò i pagani riuniti presso la “Sacra Quercia del Tuono di Geismar” per adorare il dio Thor. Il Santo, con un gruppo di discepoli, arrivò nella radura dov’era la “Sacra Quercia” e, mentre si stava per compiere un rito sacrificale umano, gridò: «questa è la vostra Quercia del Tuono e questa è la croce di Cristo che spezzerà il martello del falso dio Thor». Presa una scure cominciò a colpire l’albero sacro. Un forte vento si levò all’improvviso, l’albero cadde e si spezzò in quattro parti. Dietro l’imponente quercia stava un giovane abete verde.
San Bonifacio si rivolse nuovamente ai pagani: «Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il vostro sacro albero questa notte. È il legno della pace, poiché le vostre case sono costruite di abete. È il segno di una vita senza fine, poiché le sue foglie sono sempre verdi. Osservate come punta diritto verso il cielo. Che questo sia chiamato l’albero di Cristo bambino; riunitevi intorno ad esso, non nella selva, ma nelle vostre case; là non si compiranno riti di sangue, ma doni d’amore e riti di bontà». Bonifacio riuscì a convertire i pagani e il capo del villaggio mise un abete nella sua casa, ponendo sopra ai rami delle candele.

Tra i primi riferimenti storici alla tradizione dell’albero di Natale, la scienza, attraverso l’etnologo Ingeborg Weber-Keller, ha identificato una cronaca di Brema del 1570 che racconta di un albero decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. Ma è la città di Riga, capitale della Lettonia, a proclamarsi sede del primo albero di Natale della storia: nella sua piazza principale si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510. L’usanza di avere un albero decorato durante il periodo natalizio si diffuse nel XVII secolo e agli inizi del secolo successivo era già pratica comune in tutte le città della Renania. Per molto tempo la tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni protestanti della Germania e solo nei primi decenni del XIX secolo si diffuse nei paesi cattolici. A Vienna l’albero di Natale apparve ufficialmente nel 1816, per volere della principessa Henrietta von Nassau Weilburg, mentre in Francia fu importato dalla duchessa di Orléans nel 1940. Oggi la tradizione dell’albero di Natale è universalmente accettata anche nel mondo cattolico. Papa Giovanni Paolo II lo introdusse nel suo pontificato facendo allestire, accanto al presepe, un grande albero di Natale proprio in piazza San Pietro. In mancanza della prova di una diretta derivazione della tradizione dell’albero di Natale da antichi culti pagani, non rimane che cogliere il significato di questa usanza nell’ambito della stessa religione cristiana e della tradizione biblica sottostante, in cui si trova sviluppata una ricchissima simbologia dell’albero. Già nel secondo capitolo della Genesi troviamo, infatti, il riferimento a due alberi: l’albero della conoscenza del bene e del male (simbolo della tentazione dell’uomo di tutti i tempi di sostituirsi a Dio, ricercando in sé stesso, invece che nella legge di Dio,  il fondamento di ciò che è bene e di ciò che è male) e l’albero della vita (simbolo della possibilità di vita immortale che Dio offre all’uomo disposto a compiere la Sua volontà), cui l’albero di Natale più verosimilmente si richiama. In numerosi passi dell’Antico testamento, inoltre, l’albero è il simbolo del giusto, più volte identificato con il robusto cedro del Libano (per Prov 11, 30: “Il frutto del giusto è un albero di vita”), o della sapienza di Dio che sorregge il giusto (v. ad es. Prov 3,18: “E’ un albero di vita per chi ad essa [cioè alla sapienza] si attiene”). Nelle visioni degli antichi profeti biblici, l’albero indica, a seconda dei casi, il Messia nascente, che verrà a liberare il popolo di Israele (cfr. Isaia 11, 1: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” – passo che la tradizione cristiana e la stessa liturgia della Chiesa applicano a Gesù Cristo), o lo stesso Israele riscattato da Dio (cfr. Os 14,6: “Israele fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano”). In Osea 14, 9 l’albero è addirittura indicato come l’emblema di Dio: “… io [il soggetto sottinteso è Dio] sono come un cipresso sempre verde; grazie a me tu porti frutto”. La simbologia dell’albero è altresì presente nel Nuovo Testamento con riferimento innanzitutto a Cristo e alla sua Croce. San Giovanni, nel libro dell’Apocalisse, con sottile allusione al costato trafitto di Cristo, da cui sgorgò “sangue e acqua” (Gv 19, 34), riporta in visione: “In mezzo alla piazza della città [santa] e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni” (Ap 22, 2). L’albero della vita qui è allegoria della Croce e le sue foglie simbolo della universalità della salvezza, recata da Cristo a tutti i popoli. Infine, nei Vangeli, l’albero è spesso presentato come il simbolo del regno dei cieli (così nella parabola del granello di senapa in Mt 13, 31-32: “Il regno dei cieli si può paragonare ad un granellino di senape, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo si annidano tra i suoi rami”) nonché della stessa Chiesa, popolo eletto della nuova alleanza (cfr., ad es., la parabola dei vignaiuoli omicidi in Mt 33, 45 ss.). A fronte di una simbologia biblica così ricca, può seriamente sostenersi che l’albero è un simbolo pagano? A buon diritto l’albero può considerarsi un simbolo (anche) cristiano e la sua forza evocativa vale a spiegare la genesi della tradizione dell’albero di Natale, specialmente in un contesto come quello della Riforma protestante di “riscoperta” del testo biblico, senza necessità di ricorrere a spiegazioni “paganeggianti” (peraltro mai suffragate storicamente).

Un cristiano può dunque festeggiare il Natale anche facendo l’albero, senza timore alcuno di ripetere riti o di riprendere tradizioni pagane.  

articolo pubblicato in “cristianicattolici.net”